Il disastro

Appena spenti gli incendi, l'Unità 4 si presentava come nelle Figure sotto:







Il fatto grave non era questa distruzione in sé, ma che dentro quelle macerie vi era ancora un nocciolo, ora a contatto con l'atmosfera, che andava avanti con la reazione nucleare e buttava ai capricci atmosferici montagne di isotopi radioattivi.

L'azione successiva allo spegnimento degli incendi fu quindi quella di seppellire quella sorgente di radioattività in un sarcofago, gettandovi sopra 300.000  tonnellate di cemento e 100.000 tonnellate di strutture metalliche, come mostrato nelle figure 13 e 14.

Tutto questo avveniva con la continua minaccia di ulteriori esplosioni, poiché la  reazione a catena continuava e sarebbe continuata per moltissimi anni (dentro il nocciolo vi erano 135 mila tonnellate di Uranio oltre a Plutonio ed a molti altri elementi pesanti).


Figura 13


Figura 14

Fu una spedizione, la COMPLEX, con a capo Alexander Borovoi che tentò di capire il che fare.

Per sei mesi si cercò disperatamente al di sotto del nucleo con dei tunnel per localizzare il combustibile nucleare e finalmente capire quanto ne era rimasto.

Alcuni robot, con grandissime difficoltà dovute a rotture e detriti lungo il cammino, riuscirono a filmare alcune cose.

Iniziarono a lavorare anche migliaia di soldati dell'Armata Rossa (600.000) per la raccolta di sostanze radioattive sparpagliate da gettare nel buco che successivamente sarebbe stato chiuso.

Il lavoro era di solo un minuto a fronte di un assorbimento di dose di 1 rem.

Solo dopo l'eliminazione di tutto questo materiale radioattivo sparpagliato, fu iniziata la costruzione del sarcofago.

Si lavorava in gran fretta: se la pioggia fosse penetrata nel nucleo avrebbe potuto produrre altre esplosioni. Il sarcofago fu definitivamente sigillato alla fine del 1986.

La ricerca del combustibile nucleare non era però conclusa.





Dove era finita quella montagna di materiale che continuava le reazioni ? Nel dicembre 1986, nei sotterranei del blocco 4 si scoprì una grande massa di materiale estremamente radioattivo.

Una telecamera mobile su un robot fu avvicinata ad una massa gigantesca fusa con una forma a zampa di elefante che, all'inizio non si riusciva a capire cosa fosse.

Il diametro della zampa era di 2 metri ed il peso stimato in molte tonnellate (da essa fuoriuscivano 10.000 rem/ora).

Avvicinarsi ad essa avrebbe significato morte certa.



Si cercò, inutilmente, di prelevare un campione di questa massa.

Si pensò allora di sparare contro di essa alcuni colpi di mitragliatrice per scalfirla.

Il tentativo ebbe successo.

Si riuscirono a prelevare dei campioni e, dalla simultanea rottura della parte superiore della zampa, si scoprì che essa aveva una struttura a strati del tipo corteccia di un albero.

Le analisi sui campioni mostravano che si trattava di sabbia fusa in cristallo dall'enorme calore emanato dal nocciolo, sabbia mescolata a combustibile nucleare.

Si individuò in questo modo una prima fuga di combustibile mancante.

Come era arrivato laggiù quell'ammasso?

Si salì di livello, alla sala 207/5 per perforare, con un foro del diametro di 20 centimetri, i 3 metri di cemento armato che avrebbero immesso all'ambiente in cui era alloggiato il nocciolo.

Furono usati degli ingegneri petroliferi che trapanarono per 18 mesi per raggiungere il locale cercato (estate 1988). Ciò che si vide, con una piccola telecamera, fu un qualcosa che nessuno aveva previsto: non c'era traccia di combustibile nucleare.

Dove si trovava?

Anche il 5% di un nucleo intatto può mantenere una reazione a catena.

Si cercò nei sotterranei più profondi, da dove emanava calore.

Attraverso una fenditura, anche qui con la piccola telecamera, si intravide una grande massa.

Per un anno si lottò per entrare in questa sala attigua al reattore.
Molta distruzione ma nessuna traccia del combustibile nucleare.

Gli scienziati che riuscirono ad entrare trovarono una lastra enorme di cemento armato che presentava crepe dalle quali fuoriusciva lava.

Vi erano cristalli gialli incastonati su fondo nero.

Questi cristalli vennero battezzati cernobylite.

Di ritorno ci si rese conto che il reattore era sprofondato per 4 metri. Si iniziò quindi a capire cosa era accaduto:

  • Le prime esplosioni fecero saltare il coperchio
  • Fecero anche sprofondare il reattore di 4 metri
  • Il combustibile fuso scendeva verso il basso inondando le sale sottostanti mescolandosi fortunatamente con la sabbia che, in grossa quantità, era sistemata intorno al reattore. Nello scendere si era via via raffreddato
  • Con il combustibile imprigionato in questa sostanza vetrosa, scendeva la probabilità di nuova reazione.

Naturalmente, oltre a questi aspetti drammatici, vi furono conseguenze sanitarie impressionanti che ancora oggi hanno strascichi agghiaccianti e penosi.

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